Di seguito estrapolo dal testo sulla mia azione pittorica, inserito nell’ultimo numero di Diversalità Poetiche, dove sono presenti una serie di mie opere, tra cui l’omaggio al poeta Salvatore Toma. L’autore del testo è Lorenzo Madaro
Il quadro e il pubblico. Le “azioni pittoriche” di Orodè
“Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro” è il titolo di un’opera di Mimmo Paladino datata1977. Un atto così privato, e al contempo ordinario, assume una connotazione rivoluzionaria, almeno nel sistema dell’arte contemporanea internazionale di allora. Dopo anni di pratiche processuali, attenzioni verso la performance e l’utilizzo dei materiali eterocliti nei territori dell’arte, un artista, anzi un “pittore”, reclamava il suo desiderio di intimo rapporto con la pittura e il quadro, un “oggetto” di cui forse si era dimenticata l’essenza. Era l’esordio della Transavanguardia, il movimento teorizzato da Achille Bonito Oliva, figlio di quel generale ritorno alla pittura praticato anche con altre connotazioni (e ideali) e in altre latitudini. A prescindere dal confronto con l’ambiente collettivo in cui l’opera di Paladino ha poi trovato una delle sue prerogative – pensiamo alla Montagna di sale installata in piazza Plebiscito a Napoli e nel centro di Milano e, non ultimo, all’intervento site-specific sulla Fòcara di Novoli –, la pittura (anzi, la pratica “in diretta” della pittura) nelle vicende artistiche contemporanee è rimasta spesso un fatto privato, un rito da praticare all’interno delle quattro mura del proprio studio o comunque negli ambienti del sistema dell’arte, a parte alcune esperienze aperte al confronto con il pubblico, come nel lavoro del giapponese Shozo Shimamoto.
Orodè – e qui arriviamo all’artista al centro di questo mio breve intervento per Diversalità poetiche – stravolge la consuetudine del rapporto artista-opera proponendo l’atto della creazione in un contesto estraneo dalle gallerie e dai luoghi di produzione e promozione dell’arte – per avviare una relazione immediata con lo spettatore, e non solo.
Nascono così le sue “azioni pittoriche”, vere e proprie pratiche collettive organizzate negli ultimi cinque-sei anni in numerosi spazi, a contatto con spettatori di diversa provenienza geografica e culturale e in stretta relazione con altri operatori attivi sul fronte della ricerca poetica, teatrale e musicale. L’incontro e lo scontro creativo tra “generi” diversi, il contemporaneo svolgersi di più azioni – quella di Orodè a contatto con la superficie del foglio di carta, con cui intesse un dialogo attraverso il segno e il colore, e quella degli altri artisti coinvolti – e, soprattutto, la “dittatura dello spettatore”, crea uno stadio di sfasamento creativo, anche sotto il profilo della percezione. Il gesto pittorico e l’epifania dell’opera si sviluppano in diretta, davanti a un pubblico che scruta con inconsueta attenzione tutte le fasi di esecuzione. La produzione dell’opera perde quindi la dimensione intima per assumere le connotazioni di un processo da condividere.
Sono probabilmente quelle legate alle “azioni” le opere più stimolanti dell’artista tarantino, grazie alla forza espressiva cromatica e gestuale che deriva dall’atto performativo. Nei dipinti concepiti nel corso delle performance – quasi dei “feticci” – permane, così come nel resto della sua produzione pittorica e grafica, l’attenzione verso la figura umana, che Orodè spesso decompone con pennellate materiche ed energiche, distruggendone le anatomie, ma donando una carica vitale irripetibile alla dimensione fisica del ritratto e del “quadro”. Rimangono costanti quei sussulti di materia gravidi di citazioni, dai tormenti di natura psicologica di certo espressionismo di matrice tedesca, al gesto di Willem De Kooning, che hanno sempre caratterizzato la sua ricerca.
Lorenzo Madaro